lunedì, dicembre 16, 2013

Il senno di poi.

Ci sono giornate che sanno di verità più di altre.
Per forza o per inerzia, ma sai che quei giorni sapranno di qualcosa di diverso.
Si torna all'Olimpico.
Si torna dopo 4 pareggi.
Si torna carichi di speranze e di paure.
Si torna col pensiero un po' al passato e un po' al futuro, sperando che quei 90 minuti di presente passino il più velocemente possibile e ci dicano da quale parte della linea del tempo vogliamo stare.

Si arriva con la prima verità, più che altro la conferma di una certezza: il cornetto con il borghetti è la morte sua. Che se uno non dovesse andare al lavoro sarebbe da farci colazione tutti i giorni. Che poi a pensarci, magari al lavoro aiuterebbe pure. Chissà. 

La seconda verità è che il Capitano è tornato. Seppur in panchina. Ma è tornato. E questo ci dà un po' di serenità in più. Non si sa per cosa. 
Per sola imposizione del numero 10.

La terza verità è che c'è sempre un filo che ti lega al passato, il nostro si chiama Dodò e quando prende palla ci riporta al pezzo di storia di quando abbiamo preso la metro in Sliding Doors. Lo stesso senso di fallimento. 

Ma è anche vero, e questa è la quarta, è che il passato è sempre bene averlo a portata di memoria, in modo da ricordarci dove non vogliamo tornare.

L'altra verità, e questa è la quinta, è che la Fiorentina è proprio una bella squadra. La migliore che ho visto all'Olimpico. L'anno scorso fu back to the future, tra il pallonetto di Montella e la Roma più Zemaniana (nel senso divertente del termine) che abbiamo visto. Quest'anno càpitano sul percorso di una Roma vogliosa di dire la propria e di dire che dal futuro c'è tornata, ha visto come sarà e forse sa un po' meglio come arrivarci. Ma loro sono bravi, bisogna dargliene atto.

E l'altra verità, ormai ho perso il conto, è che all'inizio è difficile capire di essere diversi, tanto che al gol di buonanima Maicon (il suo lato a trazione anteriore è rimasto in Brasile a tenere calda la fascia, anche se il fatto che la stia tenendo calda per Dani Alves anche in caso di catastrofe nuclerare sembra chiaro ai più tranne che a lui), la risposta di Vargas ci gela e riporta in quel limbo della X a cui qualcuno sembra già essersi abituato.

E invece ci sono altre due verità.
La prima è che, se ci credi che vuoi guardare avanti, non è poi così difficile. 
Basta muovere i passi sapendo di poter saltare l'avversario, sapendo che se tiri, tiri, tiri, per mera statistica sto pallone dovrà pur entrare.
La seconda è che a volte ritornano. Come Mattia Destro. Senza Destrite. 
Tornano, eh se tornano, nessuno come me oggi può dire che tornano.

Poi ci sarebbe l'unica verità che però ancora deve essere svelata, come i segreti di Fatima. Che magari se stai vincendo e mancano cinque minuti alla fine, tenere la palla verso il calcio d'angolo avversario aiuterebbe a mantenere il risultato e le nostre coronarie intatte. Dal vangelo secondo Francesco.

Ma la verità, forse l'unica è che le partite durano 90 minuti, poi l'arbitro fischia e le partite finiscono. E come finiscono dipendono solo da come hai giocato quei 90 minuti.
Fa molto Boskov, l'Ungaretti del calcio moderno, lo so, come affermazione, ma nel senso che la verità a volte è più semplice di quanto siamo in grado di complicarla per non sentirla. 

Ma ci saranno sempre altri 90 minuti da sudare. 
La strada è ancora bella lunga e del senno di poi son piene le fosse.
E dopo un sacco di poi, forse questo giro abbiamo avuto pure il senno.

 



lunedì, dicembre 02, 2013

Nessuno si aspetta l'inquisizione spagnola

Di Sliding Doors c'è da dire una cosa.
Che, nel punto in cui le due vite parallele si incrociano nuovamente per riprendere un flusso unico, quella che ci lascia la pelle è la Gwyneth Paltrow fica, quella col capello corto biondo che ha rimesso mano alla sua vita costruendo qualcosa di buono dal suo più grande fallimento.
E che quella che riprende a vivere è quella che si è ad un certo punto resa conto di poter essere migliore di quel che era, con qualche mese di distanza e con qualche porta scorrevole di troppo lungo la strada.
C'è da dire quindi che, se il Sassuolo è stato il punto di ricongiungimento della nostra storia, un minimo di assestamento è più che necessario. Anche la povera Gwyneth, quando sale sull'ascensore, mica ha ben chiaro che quello che ha davanti è l'uomo della sua vita. E, a dirla tutta, nemmeno lui.
Gli incontri con il destino a volte hanno bisogno di tempo per essere riconosciuti.
E allora abbiamo avuto un bellissimo e trendy taglio biondo per un po', abbiamo scoperto di avere potenzialità nel nostro settore, abbiamo riscoperto cosa vuol dire divertirsi, ma anche se adesso abbiamo di nuovo i capelli lunghi e di una tinta quantomeno migliorabile, in fondo in fondo lo sappiamo che qualcosa è cambiato.
E' cambiato il nostro modo di vedere il mondo, il nostro modo di affrontare le avversità ed anche le ingiustizie.
Forse non siamo ancora come sappiamo di essere ma sappiamo cosa non vogliamo essere più.
Stiamo pareggiando i conti.
E pareggiando le partite.
Quelle che non avremmo pareggiato mai in passato.
Quelle dove c'era sempre un Conti di turno a farci andare di traverso la giornata o un'ultima X nel 2001 in terra orobica.
Ora tocca riprendere un po' le misure, fare un salto dal parrucchiere, recuperare un paio di abiti sul fondo dell'armadio...insomma, riportare tutto dove dovrebbe essere.
Ci vorrà tanto o poco?
Non lo so ma "Sai i Monty Python cosa dicono?" 
"Nessuno si aspetta l'inquisizione spagnola".
Una risposta che prima non avremmo avuto, anzi, di spagnolo ci aspettavamo solo il projecto e ancora lo aspettiamo.
Ora le porte si sono chiuse.
Cosa ci sarà dopo è scritto.
E, come dice un mio amico, basta che gli altri se lo leggano.




martedì, novembre 19, 2013

Sliding Doors


Dice è un po’ che non scrivi, ma cosa ti vuoi scrivere?
16 punti in 12 partite meritano forse qualche commento?
E dire che c’erano tutte le premesse per un grande avvio.   
L’entusiasmo dopo l’estate, l’aver ottenuto, dopo sit in e proteste, che Marquinos, Lamela e Osvaldo non lasciassero la Capitale, aver puntato su un blocco di successo che non poteva non avere tutte le chance per poter vincere e mettere la propria firma su questo campionato.
E ci sta che ottieni uno scialbo 0-0 a Livorno, le neo promosse sono sempre una brutta gatta da pelare, certo se non giochi con Dodò esterno alto a supporto dell’unica punta che bontà sua voleva andare all’estero ed invece è rimasta, forse forse riesci a fare qual cosina di più. Che sono quei momenti in cui ti chiedi se dare nuovamente in prestito Borriello sia stata un’idea così originale. Fatto sta che, dalla Grecia e in collegamento radio, ho buttato una serata per sentire sto pareggio a reti inviolate che non sa né di carne né di pesce, ma dicono i più saggi che sarà un punticino buono. Mah, sarà.
E aspetta che t’aspetta, ecco l’altra neopromossa, il Verona. La prima in casa, torniamo all’Olimpico, luogo di piacevoli ricordi e foriero di successi. La formazione non è proprio quella che metteremmo, un pizzico a trazione ancora posteriore, con un centrocampo alquanto improbabile. Non fai in tempo ad arrivare che ecco che la nostra luce si accende. E ha un nome che comincia con Francesco e finisce con Totti. Destro a giro all’angolino. Daje, siamo la Roma. E lo siamo fino a che Burdisso, che oggi sostituisce Marquinhos alle prese con un’influenza intestinale, non perde il più facile dei palloni al limite dell’area. Lobont non può che guardare il pallone insaccarsi, seppur calciato alla rinfusa dal sosia di Bradley. 1 a 1 e palla al centro. Ma su che recuperiamo…nel senso che facciamo i minuti di recupero ma senza smuovere il risultato.
Due punti alla seconda non sono un gran bottino. Soprattutto se  nel mentre c’è subito la sosta, che a noi non fa mai bene, però magari questo giro sarà un modo per riassestarsi un po’ chè dopo le vacanze e i bagordi di inizio estate forse non ci stiamo tanto con la testa.
Si va a Parma, per noi sempre foriera di bei ricordi, a parte l'halloween dello scorso anno in cui abbiamo fatto acquaplanning più che giocare a pallone. Ma oggi il tempo pare reggere e sembrerebbe anche che la squadra abbia un minimo di ordine. Vero che l'avversario non ci mette nemmeno tanto in difficoltà, ma Florenzi di supporto a Lamela sembra funzionare. Ad essere onesti 90 minuti di noia totale, se non fosse che su un calcio d'angolo finalmente battuto decentemente, dopo circa 12 con i soliti due tocchi, la testa che non ti aspetti, quella di Daniele De Rossi, insacca nella rete. Partita anonima ma almeno ci regala i 3 punti. Daje che con 5 punti si può conquistare il mondo. 
Anche perchè già alla quarta ci mettono contro all'avversario di sempre e mai come quest'anno è ora di affondare il colpo. Con 3 punti li sotterriamo. Arriva la Lazio. E ci arrivi al solito senza coreografia, la musa ispiratrice delle tifoserie ha fallito ancora con la Sud. Oppure è in cassa integrazione, vai a sapere. Riproponiamo l'11 di Maggio, quasi scaramanticamente. Pure il poro Piris che pare fosse stato arruolato come raccattapalle. Ma invece di proporre calcio e tikitaka, si propongono melina e retropassaggi al portiere. Loro inguardabili quanto noi. Uno zero a zero che più zero a zero non si può. Che per trovarne uno nel libro dei derby sono dovuta tornare a pagina 40, credo che fosse appena finita la seconda guerra mondiale.
Ma che ce frega ma che ce importa. L'importante era non uscire sconfitti che mercoledì c'è subito un altro ex lazialotto, pure ciancicone che c'aspetta. E se Parma è foriera di bei ricordi, Genova, da un lato e dall'altro è una tragedia che Romeo e Giulietta al confronto è una farsa ottocentesca. Che non vivo mai bene nessuna partita. Ma Genova mi mette un'ansia da record. Eccolo lì, Ciancicone si presenta con 3 punte e con il veleno, roba che il sabato prima a Cagliari ha fatto un indecoroso 2 a 2 con 6 difensori. E invece con noi no. Alla morte. La nostra per l'appunto visto che Gabbiadini che doveva essere la rivelazione del campionato, decide finalmente di rivelarsi. Doppietta e tutti a casa. Noi neanche il gol della bandiera, ma neanche un tiro in porta. Ma d'altronde dopo che Osvaldo aveva picchiato mezzo spogliatoio dopo il pareggio di Domenica, non è che ci fosse da aspettarsi questo spirito di team.
Va be', altro giro, altra corsa, E' ora di pensare al Bologna che Domenica se la chiami è già arrivata. C'è da ricompattare una squadra e magari darle un certo ordine, sebbene il mister non sembri proprio un condottiero con le palle per farlo.
Con il Bologna già arrivi con tutta la difesa diffidata, la curva in contestazione e lo stadio praticamente deserto. E sarà questo, sarà la botta d'orgoglio che ne consegue, per la prima volta vediamo una squadra determinata. Gol di Florenzi a pochi minuti dall'inizio, un po' di catenaccio a difendere il risultato e una busta di Marquinho a due minuti dello scadere per portarci sti altri 3 punti. Dai che si va Milano con tutto un altro spirito. Che pazza Inter arala ormai ci piace. Ma la partita non è proprio come ce l'aspettavamo e sembra che non abbiano tutta sta voglia di farci rifare questo lavoro di alta agricoltura. Che da quando è arrivato Mazzarri sembra quasi una squadra seria. Palacio ci segna dopo 16 minuti, lasciato solo soletto, lui e il suo codino, da un Marquinhos che forse sta ancora con la testa ai 5 milioni di Parigi. Milito, per non essere da meno, aspetta solo 4 minuti per infliggere il KO. Ma la Roma a volte ti riserva sorprese inaspettate. Il secondo tempo ci vede belli arrabbiati e vogliosi di rivincita. In realtà chi vede queste partite come il rosso per i tori è sempre lui. Il capitano. Che prima si rimedia un rigore dopo aver saltato tre uomini e poi una punzione dal limite che cede con un tocco ingannevole al buon Pjanic che insacca. Noi tutti ricoverati all'unità coronarica. Loro rimediano un punticino che siamo certi è foriero di buone notizie. Che di Venerdì arriva il Napoli del prode Higuain e di Hamsik. Ringraziando il cielo si rompono entrambi tra il mercoledì e il giovedì. Non c'è niente da fare, la Roma con le grandi squadre si esalta. Non serve molto, solo un gran tiro di De Rossi dal limite dell'area al 30mo del secondo tempo. Non ci serve altro. Dammi 3 punti e non chiedermi niente. Neanche come hai giocato che ci sarebbe qualche obiezione da fare, soprattutto sull'uso delle fasce, che non sono fuori moda come i cerchietti o i mollettoni, così per dire.
Si va ad Udine più sereni, siamo forti, siamo grandi e alla fine 9 punti dalla prima sono una distanza fattibile. Possiamo puntare alla Champions, qualche radio ogni tanto si spinge più in alto. Intanto piedi per terra e tutti al Nord. Sotto un diluvio universale. La palla rotola e non rotola, rimbalza e non rimbalza, si impozzanghera e non si impozzanghera fino a che Di Natale decide di prendere al volo un rinvio a dir poco azzardato di Castan e inventare l'eurogol della stagione, dritto dritto all'incrocio dei pali. Il resto è non pervenuto, sia perchè non visibile sotto la pioggia torrenziale, sia perchè proprio non pervenuto ai nervi ottici. Zero assoluto. Come i punti che riportiamo a Roma. Gaussiana che sale, gaussiana che scende. Con il Chievo, dopo ormai 10 giornate, puntiamo sulla statistica. Penultimi in classifica dovrebbero essere alla nostra portata. Puoi anche permetterti di rispolverare Tachtsicoso visto che De Rossi è alle prese con un lieve infortunio muscolare. Brividi. Soprattutto quando prende la palla a centrocampo. Ma dove non arriva il Dio Pallone, ci pensa nuovamente il Dio Totti. Prende in mano la squadra, la fa salire, e buca una difesa sinceramente burrosa. Prima con un assist per Lamela che finalmente segna nella stagione, poi con un colpo di tacco a smarcare, che arriva sui piedi di Pjanic che non se lo fa dire due volte e segna con un colpo da maestro. Pellissier ci prova a metterci paura ma per una volta tanto non ci manda di traverso la serata, che noi di Halloween abbiamo pessimi ricordi e non vorremmo che diventasse una festa a tema. 
Così a Torino, per affrontare il Toro che la Juve c'è ancora tempo. Un Toro che più che altro è sembrato una pecora in questo inizio di campionato: che vuoi che non lo battiamo? Ma la legge dell'ex è impietosa. E Cerci se lo ricorda subito che un tempo c'aveva voluto bene. Un tempo appunto. Una tripletta che ha mandato in visibilio tutti i fantagiocatori, un +9 che neanche buonanima Cavani. A cui noi rispondiamo con un misero gol della bandiera solo al 42mo, con il povero Bradley a cui non hanno detto che non valeva nemmeno sudare dopo uno scempio del genere. Ma sappiamo che la rivincita è vicina. Arriva il Sassuolo e il buon Di Francesco che invece di bene ce ne ha voluto tanto e tutto ricambiato. Con il suo Sassuolo di zemaniana memoria ultimo in classifica, che ha preso 7 gol da un Inter che noi abbiamo costretto ad un pareggio. Eccoci qui, nella sfida Grifondoro contro Serpeverde. Con l'unica variante che io di zemaniano ricordavo il 4-3-3,  questi stanno con la difesa a 7, dannazione. E ci inchiodano su un 1 a 1 che per loro sembra la Champions, per noi un'altra occasione buttata. E' come se avessimo pareggiato col Pescara dello scorso anno. Ah, vero, col Pescara avevamo pareggiato. Col Pescara già retrocesso, per la precisione.
Ma noi che ce frega. Noi abbiamo vinto la Coppa.

REWIND…26 Maggio 2013. 
La coppa l’abbiamo persa. Anche giustamente.
Le porte della metro si sono chiuse e quel treno l'abbiamo perso.
Sliding doors.
Ora, io non benedirò mai quel giorno perché quel giorno lo voglio dimenticare. 
Voglio dimenticare una squadra senza palle che non è scesa in campo e che ha regalato 90 minuti a un modesto avversario. Che poi lo so che è molto infantile ma io sono uscita dallo stadio al triplice fischio, sono salita sulla vespa e sono tornata a casa, non ho acceso la televisione e per fortuna, a parte quella sera, non ci sono state folle nei giorni a venire a ricordare quanto accaduto.
E nonostante non voglia e non possa benedire quel giorno, una cosa è certa.  
Se quella coppa l’avessimo vinta avremmo portato Andreazzoli in trionfo, gli avremmo fatto un contratto a vita. Avremmo tenuto un allenatore e difeso una rosa che l’anno scorso si era piazzata in una posizione indecorosa in classifica, con un girone di ritorno assolutamente inqualificabile e che travasi di bile ce ne ha fatti fare un bel po'. Avremmo campato su quella vittoria per poi ritrovarci già rassegnati a campionato appena iniziato, a leccarci le ferite con una coppa come panacea di tutti i mali. Perchè la squadra di allora non poteva diventare oro nemmeno con Re Mida ad allenare.
Alla fine, sebbene poi i palmares raccontino e racconteranno sempre un’altra storia, per me è stato un derby perso.
Solo e semplicemente un derby perso. Né più, né meno. Che però ci ha costretto a cambiare e ha costretto giocatori anche navigati a voler dimostrare che se non campioni erano almeno giocatori degni della serie A.
E non ci sono stata neanche troppo male alla fine, sera del 26 Maggio a parte in cui ho seriamente pensato ad arruolarmi nella legione straniera.
Forse perchè, 26 maggio o non 26 maggio, noi abbiamo continuato a guardare quelli che si chiamano come la regione come li abbiamo sempre guardati: negli occhi, a testa alta, non ci siamo mai tirati indietro, non siamo mai scomparsi, mai nell'ombra.
Forse perchè non basta un Lulic qualsiasi (che ha raggiunto quotazioni al fantacalcio quest'anno manco fosse candidato al pallone d'oro) per cambiare l'immutabile: la nostra fede non passerà, mai.
O forse perchè la nostra curva è piena, proprio quella curva che amaramente si era svuotata quel giorno, perchè noi siamo fieri dei nostri colori e non abbiamo paura di tornare dove siamo stati sconfitti e di gridare il nostro Amore.
Perchè quando ci hanno detto per quattro mesi "t'ho arzato la coppa in faccia"  comunque ci hanno usato come complemento di termine per darsi un senso ed un significato.
A noi basta la Roma.
Perchè Roma e basta non ha bisogno di complementi di sorta: ha un solo soggetto ed è tutto giallorosso.
Per cui queste 12 giornate saranno state anche un sogno, ma dopo gli ultimi due anni io penso che il "sogno di qualcosa" per breve o lungo che possa essere, ce lo siamo ampiamente meritato. 
Abbiamo ridato un senso a Balzaretti e salvato una generazione di cinquenni che correva un serio pericolo.
Poi il teorema del limite centrale non sbaglia mai.
Ma questa sarà un'altra storia.


martedì, settembre 10, 2013

Sapevamo tutto già da Barbie?

Sto assistendo, con sguardo quasi socio-antropologico, all'evidente trasposizione di genere in atto.
E' una verità dura da accettare.
Ma dobbiamo rassegnarci.
Gli uomini sono diventati donne.
Dicono no per dire sì.
Dicono sì per dire no.
Si fanno scrupoli.
Sono convinti che se ti metti insieme sia per sempre.
Sono lunatici.
Sono in crisi.
Sono confusi.
Non parlano e quando parlano li devi interpretare.
Se qualcosa non va ti rispondono "niente".
Hanno bisogno di rassicurazioni.
Ti chiedono se sono dimagriti.
Si offendono se non ti accorgi del nuovo taglio di capelli.
Necessitano di più attenzioni di una sedicenne complessata.
Si fanno dei film in testa che neanche il miglior Kubrick.
Tutti con finali tragici, con noi con i barbiturici già in dispensa per quando loro se ne andranno.
Ti dicono ci sono, non ci sono, aspettami, dimenticami, forse, non so, oggi sì, domani no, vediamo, può essere, dipende.
Cominciano a presentare allarmanti sbalzi d'umore ad intervalli di 28 giorni.
Non sono pronti non si sa a cosa neanche avessero un timer che ne controlla la cottura.
Usano parole a caso neanche le tirassero fuori da Ruzzle.
Non ti chiamano "se no ti innamori". 
Che voglio dire, prescindendo dagli applausi per l'ego, ci sta pure, ma non c'è bisogno che ce lo dicano in anticipo.
Sesso con parsimonia "se no ti innamori".
E qui invece qualche preoccupazione me la suscitano.
Lo fanno per noi.
Ma se poi non ti innamori un po' ci rimangono male.
Dove sono finiti i begli uomini stronzi di una volta?
Quelli semplici, semplici domenica=calcio, sì=sì, no=no.
Quelli con le palle.
Ridateceli per favore.
Non ci fate pensare che alla fine sapevamo tutto già da Barbie.
Che Ken era bello, affascinante e in carriera, ma sotto i pantaloni piatto, piallato che neanche il miglior lavoro di falegnameria.
Su, non ci fate credere che quella che per anni è stata ritenuta una distinzione di genere importante era solo tanto cotone.
Ve ne prego, per il bene di tutti.
Tornate a fare gli uomini.
Credete, sopravviveremo.

lunedì, maggio 27, 2013

Hai un momento, Dio?

C'ho un po' di traffico nell'anima, diceva il buon Liga, ma a differenza di lui ho un po' più di 3 domande:

1) Psy era un tentativo per trovare le larghe intese con gli avversari?
2) E' possibile far scendere una qualche sorta di illuminazione nella Sud e fare una coreografia anche noi ogni tanto?
3) Per capire gli striscioni della Nord dove si pigia il 777 per i sottotitoli?
4) Far pagare la birra meno di 4 euro in una serata del genere non sarebbe stato un atto di carità?
5) Ma com'è che a me levano il borghetti e poi in curva ci sta la stessa quantità di fuochi d'artificio che c'è in tutta Roma a Capodanno?
6) Ma si può far giocare mediano uno che ha lo spunto della punta e pure del dieci?
7) Ma si può far giocare a destra uno che ha fatto il centrale fino a ieri mattina?
8) Che brutto peccato c'avevamo da espiare per dover ritirare fuori dalla naftalina Balzaretti?
9) Che i migliori in campo siano stati Bradley e Marquinho era un modo per ricordarci che gli ultimi saranno i primi?
10) Hai notizie di Lamela e Destro?
11) Per De Rossi si può fare qualcosa?
12) Se dovevamo perdere, a rosicare per rosicare, non era possibile prendere un bell'eurogol invece di un rimpallone?
13) Dodò?????
14) e soprattutto...perché????

So' 3 anni di Purgatorio, da Genoa-Roma 4-3.
E' abbastanza?
Saturno contro, dici?
Può essere.
Un po' lo sai pure di chi è la colpa, mi dirai.
E c'hai ragione, lo so, i segnali c'erano tutti, dovevo immaginare ma fa male lo stesso.
Lo sai quell'idea stupida che a un certo punto le cose devono cominciare a girare bene, non foss'altro per statistica?
Stupide illusioni, lo so ma alla fine non si smette mai di crederci.
Il reale busillis è che non puoi manco dire niente, attaccarti a una traversa, a un rigore non dato, loro sono stati meno pippe e noi non siamo scesi in campo, tocca abbozzare.

E tu mi dirai, mica avresti voluto il miracolo?
E avresti ragione, i miracoli tocca tenerli per cose più importanti, sarà che mi sembra che non ci fossero altre soluzioni se non quella di un intervento divino visto che quello che di umano si vedeva non lasciava spazio ad alcuna speranza.
E allora che vuoi, ti chiederai?
Tanto continuerai ad amare quella maglia indipendentemente dalle risposte che ti darò.
Giusta osservazione. 
E non ci sono dubbi nè tentennamenti.
La fede è fede, penso che tu sia un esperto sul tema.
 
A voler proprio essere onesti, però una richiestina l'avrei: c'è un problema serio da affrontare ed è che c'è una generazione di cinquenni che starà decidendo a quali colori tenere e il risultato di questa finale non aiuta, te lo dico. 
Per il bene del pianeta terra, fai qualcosa.
Un addendum al catechismo, un nuovo peccato capitale, così, quello che ti viene.
Te ne sarai infinitamente grata.


lunedì, maggio 20, 2013

L'imprinting

Ci sono partite che non contano niente.
In cui sai che qualunque cosa succeda non cambierà niente.
Un'amichevole di pre-campionato più o meno.
E noi nel pre-campionato e nelle partite che non contano niente siamo sempre stati forti.

Ci ripensavo l'altro giorno, quando mi chiedevano perchè ho già rinnovato l'abbonamento per il prossimo anno.
Perchè noi di partite così ne abbiamo viste talmente tante che è inutile nascondere la testa sotto la sabbia e fare finta che sia la prima volta.
E se non lo è, ci sarà un motivo per cui stiamo ancora qui, ogni domenica (e, con il passare degli anni, venerdì, sabato, lunedì, martedì o mercoledì).
O non impariamo mai o in fondo in fondo sappiamo che non c'è altro posto dove vorremmo essere. 
Oddio, a volte ce lo chiediamo perchè ci stiamo, alcune più spesso di altre, ma alla fine una risposta ce la diamo sempre.
E comincia sempre per A e finisce per more.
E' tutta una questione di frutti di bosco.
Il vero nodo è che un tempo queste partite erano una stagione intera: quella dove, sin dal principio, sapevi che non saresti andato da nessuna parte. 
Ed allora è normale ricordarsele con un pizzico di malinconia, è sempre facile giocare a pallone quando non c'è nulla da perdere. E soprattutto nulla per cui arrabbiarsi.
E invece oggi siamo delusi: segno che per qualcosa abbiamo lottato.
Che poi non ci siamo arrivati perchè non ci abbiamo creduto abbastanza è un altro paio di maniche, e su questo si possono aprire capitoli interi di discussione sui se e sui ma.
Ma con i se e con i ma non si è mai fatta la storia.
O forse la nostra è fatta solo di se e di ma. Vallo a capire.
Alla fine per un attimo siamo stati lì ed è sempre meglio un rimorso di un rimpianto. 
L'ho sempre pensata così.

E allora anche quest'anno si chiude con una partita che non conta niente. 
Quelle in cui arrivi allo stadio, ti bevi un borghetti, una birra, fai due chiacchiere col vicino, ti informi sulla salute di amici e parenti, di matrimoni, di gente che s'è lasciata, della scuola, dei figli, delle prossime vacanze, di dove staremo seduti la prossima domenica. 
Chatti pure un po' su whatsapp con la coda dell'occhio sul manto verde.
So' belle ste amichevoli, pure i napoletani li facciamo lavare col fuoco meno del solito, più che altro ripassiamo un po' di cori.
Perchè con la testa già sei al 26 Maggio, non c'è niente da fare.
"26-05-2013: Vincete o Scappate" recita lo striscione in Nord. 
Forse al 26 Maggio ci stiamo con la testa un po' tutti.
Con grande serenità, come si può intuire.
Ma oggi non è 26 e la mia gamba è stranamente ferma, non si muove all'impazzata in perenne tensione, non iperventilo, fumo anche qualche sigaretta di meno.
E quando segna Marquinho, esulto, pure se non conta niente, perchè alla fine "il mio cuore batte per te" e questo non cambierà mai.
E pure quando segna Destro salto dal seggiolino (anche per l'evento in sè per sè, a voler essere onesti).
Perchè è così che succede nelle partite che non contano niente.

Che non contano niente fino a quando non arriva la notizia del gol del Cagliari.
Quando il tuo cervello comincia a fare calcoli a una velocità impressionante.
Sommi, sottrai, moltiplichi in qualche nano secondo.
Ed improvvisamente realizzi:
"Cazzo, il sorpasso".
E la partita che non contava niente, conta improvvisamente qualcosa.
Tre noccioline, eh, però qualcosa.
Ed è infatti il momento in cui rischi di pareggiarla.
Il momento in cui la gamba ricomincia a muoversi incondizionatamente, il respiro si fa affannoso e t'accendi la sigaretta che prima non serviva.
Non fa una piega. 
Ma alla fine il triplice fischio arriva.
Ed esultiamo, probabilmente perchè non ci credeva nessuno che sta serata c'avrebbe regalato qualche briciola.

Per carità, ci consoliamo sempre con l'aglietto. 
Però sempre meglio sopra che sotto.
Meglio davanti che dietro.
Perchè di quelle stagioni che non contavano niente l'imprinting alla fine non l'hai mai perso.
E riscopri, con un misto di amarezza e piacere, che il provinciale che è in te non è mai morto.
E ci parli pure e gli dici: "ma che c'hai da esultare? Zitto, muto, low profile".

Perchè c'è sto diavolo di 26 Maggio che ci aspetta.
La settimana più lunga della vita, seconda forse solo a quella che ci portò al 17 Giugno del 2001. 
Keep calm, dicono.
Pare facile.






lunedì, maggio 13, 2013

Quel che resta del giorno

Io ve l'avevo detto dopo Catania-Roma (vedi Il teorema del limite centrale).
Non dite che non vi avevo avvertito.
Era Gennaio.
Avevo fatto outing, mi ero assunta le mie responsabilità e vi avevo preannunciato che, o cambiava qualcosa o non si andava oltre il sesto posto.
La società non mi ha dato ascolto.
Manco un annuncio piccolo piccolo tra primo e secondo tempo.
Facciamo uno sforzo con la nuova campagna abbonamenti? 
Vi ricordo anche che c'abbiamo un appuntamentino a breve, così per dire.
Si fa sempre per puro spirito d'amore per la maglia, eh?

Finita st'autocelebrazione per le mie doti di Cassandra giallorossa, ieri s'è chiuso il campionato. 
E sì, manca una partita, che l'anno scorso per garantirci il settimo posto abbiamo dovuto sudare a Cesena, ma ieri abbiamo chiuso il sipario su quella che è senza dubbio un'altra stagione fallimentare. 
A me è sembrata la fotocopia dell'anno scorso, quella in cui il Campionato ti aspetta e tu tutte le volti sbagli il luogo o l'ora dell'appuntamento.
Forse pure peggio visto che devi in qualche modo (con un senso di disgusto e una forte acidità di stomaco) ipotizzare - non dico sperare - che la Lazio superi l'Udinese.

Anche perchè, se è vero che ieri ci siamo presentati con una formazione fantasiosa a piacere, rispolverando Dodò esterno avanzato come con Palermo e Chievo (il che dovrebbe sollevare una domanda assolutamente retorica), è pur altrettanto vero che ci incontravamo con i terzi in classifica. Non so se mi spiego...sono terzi. 
A riprova che questo campionato era proprio alla nostra portata. 
Se solo non avessimo buttato i soliti 12 punti sparsi a piacere.

Una partita che è la sinossi di queste stagioni: la partita che giochi per non perdere invece che per vincere. 
Che giochi per un'ora in 11 contro 10 senza mai sfruttare la superiorità, dove non verticalizzi mai per paura di regalare qualche pallone a centrocampo e appena puoi torni indietro.
Che ancora dopo 20 anni non hai capito che il Capitano i numeri ce li ha praticamente tutti ma i calci d'angolo si mettono tra praticamente e tutti.
In cui l'unico sprazzo di veleno comunque ce lo mette sempre lui. 
Lascia stare che in questo caso si concretizzi sullo zigomo del fu Rugantino invece che in porta. 
Dettagli.

Così come è un dettaglio che Balotelli ci stava antipatico pure se era bianco: non è razzismo, è proprio che ci dà fastidio fisico.

Comunque, uno zero a zero che più zero a zero non si può.
Zero di tutto.

Quindi? 

Quindi travasiamo quel po' di bile che ancora non avevamo utilizzato, ci prepariamo a salutare i salutabili e ad insultare gli insultabili, aspettiamo di sapere quale sarà il nuovo progetto con la tessera del prossimo anno già rinnovata, perchè in Amore di cose stupide se ne fanno tante. 
Perchè sta ruota dovrà girare prima o poi, allora meglio esserci che non esserci. 
Perchè alla fine anche quando non ci sei, ci sei comunque, è inutile che ci prendiamo in giro.
Perchè se e quando sarà, ci racconteremo con quello del seggiolino davanti..."E te lo ricordi Tachtsicoso?". Comunque fa curriculum.

Ed ora quel che resta del giorno è solo l'attesa del giorno.
Che non la sento per niente.
No. No.







mercoledì, maggio 08, 2013

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La partita col Chievo. Il match delle invarianti. Un meteo di schifo e un risultato improbabile.

Aspe', mi sa che questa l'ho già scritta.

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Da dire c'è davvero poco: abbiamo stentato a creare azioni pericolose, pressing alto solo per 15 minuti, attacco poco incisivo, i piedi storti di Bradley, pochi cross dal fondo e sempre i maledettissimi calci d'angolo col doppio tocco. Non che dall'altra parte si creasse granchè, Goicoechea e Sorrentino giocavano a battaglia navale in rete e i due giudici di porta si volevano aggregare per un tresettino estemporaneo.

Aspe', mi sa che ho già scritto anche questa, basta cambiare i portieri.

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Insomma, una noia mortale.  

Aspe', questa l'ho scritta pari pari.

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Poi basta sostituire Rigoni con Dramè, Pellissier con Thereau, eliminare il fuorigioco a cui almeno ti potevi attaccare ma tutto il resto non cambia.

Ctrl-c > Ctrl-v: anche perchè non so' 3 ma so' 6 i punti che gli abbiamo lasciato. Bontà vostra.

Ma è, d'altronde, la tranquillità dell'immutabile: perchè, per quanto vuoi ritenerti una squadra matura, la paura ti attanaglia. Se vinci tre partite di seguito ti viene l'ansia da prestazione, la vertigine da altezza, la paura di deludere. E subito torni alla realtà. 
Nella giornata che ti poteva portare tra le grandi, decidi che vuoi essere una qualunque, troppo lontana dal fondo per aver paura di cadere ma neanche troppo vicina alla meta per doverci provare.
E torniamo a fare quello che sappiamo fare meglio: arrivare alla fontanella senza bere mai.

Daje su, ora siamo tornati alla realtà. Non fateci rimanere qui per tanto.

Et voilà. Il copia e incolla è servito.